Sicuramente conosco colpevolmente poco di Greta Thumberg. La grancassa mediatica sfiora occasionalmente chi si informa principalmente dal sito Ansa o dai programmi radiofonici, che hanno la capacità di ridimensionare, almeno un poco, l'effetto bomba universale dato dai programmi TV e dalle prime pagine dei giornali nelle edicole.
Un fenomeno mediatico
quasi senza pari, montato nel giro di un anno, tanto da portare
un'adolescente problematica a parlare con irriverenza ai potenti
della terra.
Da ecologista non posso
che celebrare con piacere che i temi dell'ambiente vengano portati
alla ribalta, qualsiasi sia la persona che riesca a farlo, Greta
compresa.
Problemi reali, che io
stesso vivo con apprensione e talvolta rabbia.
Detto quindi che i temi
cavalcati dalla giovane svedese vanno cavalcati e abbracciati da più
persone possibili, quanto avviene penso debba tuttavia portarci anche
ad alcune riflessioni.
In primo luogo mi domando
il perché di tanta attenzione per un'adolescente, quando l'allarme
ambientale è lanciato da decenni da studiosi, ricercatori,
associazioni ambientaliste, partiti e finanche politici di primissimo
livello cadendo perso nel vuoto.
Di fatto Greta è figlia
di gente di spettacolo, una madre cantante famosa e il padre attore,
e questo spiegherebbe la disinvoltura con cui la sua famiglia le
consenta, ancora studente minorenne, questa dispendiosa crociata
pubblicitaria.
Si, pubblicitaria, perché secondo alcune autorevoli firme, Greta farebbe parte di un imponente
piano di marketing governato da Ingmar Rentzhog, abile PR che lavora
per la famiglia di Greta, ideatore della start up “We don't have
time” e dipendente del Global Utmaning, un'associazione no profit
svedese operante nello sviluppo sostenibile.
Insomma, bel lungi
dall'essere la storia di una bambina che ha subito i danni
dell'ambiente e che per una bella favola va a dirne quattro a un
Donald Trump che dell'ambiente bellamente se ne frega, abbiamo una
figlia di ricchi svedesi (la Svezia tra l'altro non primeggia per
problemi ambientali), finanziata da una onlus milionaria e gestita da
comunicatori professionisti.
Ma come detto ben venga
chi spinge il mondo a riflettere sulla tematiche ambientali, ma
teniamo ben presente che non si tratta di una bella storia casuale,
bensì di un piano comunicativo ben strutturato con una giovane
attrice ben disposta al ruolo che interpreta.
Evitando di cercare il
potenziale maligno dietro ai poteri che muovono la marionetta Greta,
mi lancerei però in una seconda riflessione: se il personaggio Greta
può prestarsi ad accuse di fenomeno mediatico pilotato, non può il
fenomeno Greta Thungber rappresentare una minaccia per quel movimento
che ora va a rappresentare?
Nel sentirla parlare con
enfasi rabbiosa alle Nazioni Unite, posso commuovermi, ma posso anche
vedere una brava attrice di 16 anni, oppure ancora peggio vedere una
bimba isterica e arrabbiata difficile da prendere sul serio. E se
Greta diventa sinonimo di ambientalismo, per la proprietà
transitiva, un eventuale credibilità di Greta potrebbe portare
l'intero movimento ambientalista mondiale che vi si è riconosciuto
alla catastrofe.
Un rischio implicito
dell'associare un volto, un leader unico ad un ideale o a un
movimento. Fatto forse imprescindibile in un mondo dove l'immagine e
l'iconografia dominano sui contenuti, valori e sulle idee ed anzi
diventano forse unico modo efficace per veicolare le idee.
A mio parere per il mondo
ambientalista è necessario trovare immediatamente altri leader
carismatici che supportino e rilevino la bionda bimbe svedese prima
che la troppa glorificazione la distrugga insieme la movimento che
intende rappresentare.
Un articolo di Luca Scialò a cui ho attinto numerosi spunti ed idee