mercoledì 3 novembre 2021

Cultura a costo zero

Leggo ora questa notizia Ansa "Detenuti possono lavorare nei musei"

Mi piacerebbe aprire un dibattito su cosa sia giusto o no di questo approccio. Il fatto che ai carcerati in cerca di riabilitazione venga data la possibilità di rendersi utili in ambito culturale può certamente essere una bella cosa.

Ma chiediamoci quale è il rovescio della medaglia?

Perché mandare gente che è colpevole di reato a fare dei lavori che quasi tutti vorrebbero fare?

Sappiamo tutti che il mondo della cultura è in difficoltà. Non esistono grandi sbocchi per gli studenti di arte, lettere, musica, beni culturali. Sappiamo che tantissimi universitari cercano di mantenersi con vari lavoretti, molti dei quali sono affidati a cooperative che gestiscono a basso costo spazi museali, sale civiche o biblioteche con servizi di biglietteria, guardiania, riordino, pulizia, maschere, servizi all’utenza, etc. Lavoretti essenziali sia per chi frequenta l'università, ma anche per chi quando esce dal percorso di laurea fatica a trovare una seria collocazione nell'ambito lavorativo che ha scelto. Perché allora ridurre ulteriormente il bacino di potenziale lavorativo ed economico a cui queste categorie possono accedere per il loro sostentamento per orientarlo alla riabilitazione dei carcerati? Forse solo una motivazione economica per cui certi lavori in ambito sociale e culturale devono essere affidati al minor costo (possibilmente zero)?

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2021/11/02/i-detenuti-potranno-lavorare-nei-musei_aded0e93-d0e2-4f4a-9fab-984b7e9274ec.html

mercoledì 25 settembre 2019

Greta Thunberg: risorsa o rischio per l'ambientalismo?


Sicuramente conosco colpevolmente poco di Greta Thumberg. La grancassa mediatica sfiora occasionalmente chi si informa principalmente dal sito Ansa o dai programmi radiofonici, che hanno la capacità di ridimensionare, almeno un poco, l'effetto bomba universale dato dai programmi TV e dalle prime pagine dei giornali nelle edicole.

Un fenomeno mediatico quasi senza pari, montato nel giro di un anno, tanto da portare un'adolescente problematica a parlare con irriverenza ai potenti della terra.
Da ecologista non posso che celebrare con piacere che i temi dell'ambiente vengano portati alla ribalta, qualsiasi sia la persona che riesca a farlo, Greta compresa.
Problemi reali, che io stesso vivo con apprensione e talvolta rabbia.
Detto quindi che i temi cavalcati dalla giovane svedese vanno cavalcati e abbracciati da più persone possibili, quanto avviene penso debba tuttavia portarci anche ad alcune riflessioni.
In primo luogo mi domando il perché di tanta attenzione per un'adolescente, quando l'allarme ambientale è lanciato da decenni da studiosi, ricercatori, associazioni ambientaliste, partiti e finanche politici di primissimo livello cadendo perso nel vuoto.
Di fatto Greta è figlia di gente di spettacolo, una madre cantante famosa e il padre attore, e questo spiegherebbe la disinvoltura con cui la sua famiglia le consenta, ancora studente minorenne, questa dispendiosa crociata pubblicitaria.
Si, pubblicitaria, perché secondo alcune autorevoli firme, Greta farebbe parte di un imponente piano di marketing governato da Ingmar Rentzhog, abile PR che lavora per la famiglia di Greta, ideatore della start up “We don't have time” e dipendente del Global Utmaning, un'associazione no profit svedese operante nello sviluppo sostenibile.
Insomma, bel lungi dall'essere la storia di una bambina che ha subito i danni dell'ambiente e che per una bella favola va a dirne quattro a un Donald Trump che dell'ambiente bellamente se ne frega, abbiamo una figlia di ricchi svedesi (la Svezia tra l'altro non primeggia per problemi ambientali), finanziata da una onlus milionaria e gestita da comunicatori professionisti.
Ma come detto ben venga chi spinge il mondo a riflettere sulla tematiche ambientali, ma teniamo ben presente che non si tratta di una bella storia casuale, bensì di un piano comunicativo ben strutturato con una giovane attrice ben disposta al ruolo che interpreta.
Evitando di cercare il potenziale maligno dietro ai poteri che muovono la marionetta Greta, mi lancerei però in una seconda riflessione: se il personaggio Greta può prestarsi ad accuse di fenomeno mediatico pilotato, non può il fenomeno Greta Thungber rappresentare una minaccia per quel movimento che ora va a rappresentare?
Nel sentirla parlare con enfasi rabbiosa alle Nazioni Unite, posso commuovermi, ma posso anche vedere una brava attrice di 16 anni, oppure ancora peggio vedere una bimba isterica e arrabbiata difficile da prendere sul serio. E se Greta diventa sinonimo di ambientalismo, per la proprietà transitiva, un eventuale credibilità di Greta potrebbe portare l'intero movimento ambientalista mondiale che vi si è riconosciuto alla catastrofe.
Un rischio implicito dell'associare un volto, un leader unico ad un ideale o a un movimento. Fatto forse imprescindibile in un mondo dove l'immagine e l'iconografia dominano sui contenuti, valori e sulle idee ed anzi diventano forse unico modo efficace per veicolare le idee.
A mio parere per il mondo ambientalista è necessario trovare immediatamente altri leader carismatici che supportino e rilevino la bionda bimbe svedese prima che la troppa glorificazione la distrugga insieme la movimento che intende rappresentare.

La pagina di Wikipedia su Greta Thumberg
Un articolo di Luca Scialò a cui ho attinto numerosi spunti ed idee

venerdì 13 settembre 2019

Controlli Killer.


Oggi due notizie preoccupanti.
Non parliamo di governi, politici, o rapine e stragi, ma parliamo di imprenditori che per il proprio benessere economico mettono a rischio al vita dei cittadini.
Due inchieste, e in alcuni casi arresti, nei confronti di chi deve controllare la qualità delle infrastrutture. Infrastrutture che hanno portato a drammi e a tragedie, e che purtroppo ora sappiamo in mano a opportunisti, e criminali.


Da un lato dirigenti e tecnici di Aspi e Sea, accusati di aver modificato i report sullo stato di salute di numerosi viadotti non solo in Liguria dove il crollo del ponte Morandi ha causato una strage infernale, ma anche su strutture di altre parti d'Italia.
A Roma la questione è altrettanto grave con quattro provvedimenti cautelari nei confronti di personale di Atac e la società di manutenzione delle scale mobili della metropolitana <<Metroroma>>, accusati di “totale disinteresse per la sicurezza” occultamento degli incidenti, manutenzioni . Una mala gestione che ha portato anche a un grave incidente nell'ottobre 2018 che portò al ferimento di alcuni tifosi del CSKA Mosca.

Il che mi porta ad un'ulteriore conferma. E' difficile cambiare un sistema politico se il sistema economico e i comportamenti sociali non prevedono etica, civiltà e umanità da parte dei cittadini. Imprenditori compresi.


Fonti


sabato 8 giugno 2019

Striscioni a go go


Negli ultimi mesi è partita la gara allo striscione anti-Salvini e alla loro rimozione. Ormai quotidiani sono i casi in cui appaiono striscioni contro il segretario della Lega Matteo Salvini, durante suo perenne tour elettorale.
Striscioni di ogni tipo, a volte ironici, a volte diffamanti, esposti sui terrazzi, sui monumenti o sulle facciate dei palazzi.
La novità che emerge dalla lettura dei mass media è che frequentemente questi striscioni sono fatti rimuovere dalle forze dell'ordine.
Un fatto che sta facendo discutere polarizzando ulteriormente le posizioni pro e anti Salvini.
Credo sia necessario sottolineare che la rimozione di striscioni per motivi di decoro pubblico o sicurezza è prevista per legge. Del resto ogni striscione appeso lungo le strade dovrebbe avere un'autorizzazione da parte della autorità. Autorità che spesso sono inflessibili persino con chi affigge i cartelli dei matrimoni, o chi espone cartellonistica non autorizzata nelle piazze o fuori dagli esercizi commerciali.





Anche il Ministro Di Maio ha pubblicato su Facebook  lo striscione 
Il vero problema è se anziché per una ragione amministrativa la rimozione o la sanzione agli striscioni avviene esclusivamente per contenuti di taglio politico. In tal caso la questione assumerebbe gli raccapriccianti connotati di un grave atteggiamento autoritario da parte delle forze di polizia.

Tra le ultime situazioni di questo tipo vi è quella di uno striscione che la UIL avrebbe voluto esporre sul Pincio ma che la Digos ha invece obbligato a rimuovere.
Le versioni sono definitivamente di verse: la UIL ritiene che i motivi siano politici (Lo striscione ironizzava su Salvini e Di Maio), mentre la Questura dice che semplicemente il Pincio è un bene tutelato indipendentemente dai contenuti dello striscione.

Ebbene, la mia perplessità è che se le due versioni la UIL ha ottenuto il risultato di far vedere a tutta l'Italia uno striscione che per lo più avrebbe lasciato indifferenti i due ministri, ma che sarebbe passato per lo più inosservato anche dal grande pubblico.

Azione fascista o azione di marketing?


I dettagli sulla vicenda li trovate sul sito di ANSA.IT

mercoledì 8 maggio 2019

Fascismi, Altaforte e le paure.



Risultati immagini per salone del libro torino 2019


Credo che sulla presenza di Altaforte al salone del libro si stia facendo una gran confusione. Ed una pessima figura da parte delle forze antifasciste.
Al giorno d’oggi parlare di fascismo è difficile forse più di quando ero bambino io, quando la dicotomia tra rossi e neri era assolutamente radicata; troppo fresche le ferite di una dittatura e di una dolorosa guerra civile.
Oggi per molti fascismo, socialismo, comunismo e antifascismo sono cose vecchie, credo quasi incomprensibili per i giovani, che al massimo possono ispirarsi a simboli e iconografie che sono sentiti veramente solo da vecchi nostalgici.
Eppure, sorprendentemente sono più vivi che mai gruppi e persone che si dichiarano fascisti, e con essi tutta una produzione culturale che li accompagna.
D’altro canto, sono veramente pochi i nostalgici della falce e martello, ed anzi il maggior partito che storicamente portava alto questo simbolo, ha annacquato le sue radici con l’acqua santa democristiana, ispirandosi a un vago progressismo borghese americano.
A tenere vivo un concetto di sinistra oggi sembra forse essere solo l’antifascismo, e dietro questo spauracchio la sinistra cerca di unire ciò che è oggi ridotto in brandelli.

Ecco che forse qui sta la ragione di una polemica ridicola e sterile nei confronti del Salone del Libro di Torino, che ospita tra i tanti editori anche Altaforte, che ne più ne meno di tante case editrici indipendenti porta al pubblico una lettura della realtà “alternativa” alla cultura mainstream. Ossia una casa editrice eroica, non fosse che l’amministratore unico Francesco Polacchi si è dichiarato apertamente fascista e membro della formazione politica neofascista Casapound con dichiarazioni di questo tipo: “Sì sono fascista. Mussolini il miglior statista italiano, Lo dico senza problemi”. Dalle parole ai fatti, Polacchi risulta protagonista di numerose azioni violente e aggressioni di stampo fascista nell'arco di tutta la sua vita.
La risposta degli intellettuali e dei politici di sinistra è stata ampiamente prevedibile: boicottaggio del ‘Salone’ con un “O loro o noi”.
Premetto che da giornalista sono a favore della libertà di stampa e di espressione facendo mio il motto "Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Quindi ritengo che sia sempre necessario ascoltare tutte le voci (anche quelle sgradevoli e sgradite) per leggere la realtà.
Risultati immagini per io sono matteoAnche in questo caso trovo che la sinistra continui a non capirci nulla di come funziona la comunicazione al giorno d’oggi. L’intransigenza e l’incapacità di leggere e comprendere le dinamiche, fatta di negazione e condanna e non di analisi e confronto, ha la spiacevole controindicazione di dare visibilità e importanza a quello che in realtà vorrebbe combattere.
Decine di voci che s’alzano comprensibilmente contro Altaforte e Polaccchi, e i conseguenti titoli sui giornali, hanno avuto l’effetto  di spingermi a capire cosa sia questa realtà, ed infine, a scriverne in questo articolo. L’indignazione di sinistra, ha sicuramente fatto per Altaforte tanta pubblicità quanta mai questa casa editrice controversa avrebbe mai potuto permettersi o sognarsi, facendola uscire dall'ambiente underground.
Chiaramente notevole è anche la pubblicità fatta al libro intervista a Matteo Salvini, libro pubblicato da Altaforte ma ben presente sugli scaffali delle librerie.

Insomma, la sinistra farebbe meglio ad ignorare piuttosto che indignarsi. Ignorare ma agire, magari con una bella tirata alla giacchetta di qualche magistrato. Se Casapound è fascista va fatta definitivamente chiudere. Chi si dichiara fascista va punito o fatto ragionare. Chi è violento, con l’aggravante fascista, va arrestato, e rieducato. Il Fascismo è bandito dalla Costituzione: facciamola funzionare.
E lasciamo invece agli intellettuali il confronto che dovrebbe essere il loro mestiere, per dimostrare senza paura quali siano i valori più importanti e indissolubili della nostra società.




Fonti e riferimenti bibliografici per approfondimenti








sabato 4 maggio 2019

Chiusure


Oggigiorno si parla spesso di chiusure, per lo più nello scontro politico/ideologico: chiusura delle frontiere, dei porti, dei campi nomadi, dei centri storici. 

Possono esserci ragioni condivisibili in queste “chiusure” come in ogni tipo di “chiusura”, tuttavia entrando in questi grandi temi da giornale nazionale, da dibattito pubblico, uno spazio dove il privato è raramente coinvolto se non per qualche forma di senso etico, si finisce sempre per distinguere i “buoni” dai “cattivi”.

Oggi facendo una passeggiata per le strade in cui sono cresciuto ho invece notato che la chiusura è nel quotidiano, nelle piccole azioni individuali, del singolo cittadino, del condominio, o della comunità locale per arrivare alle amministrazioni locali. Tante piccole forme di “chiusura” che formano la mentalità che arriva poi ad accettare come normale e plausibile ogni altra forma di chiusura su grande scala e nei grandi temi anche nazionali.

Sono da sempre una persona di periferia, ovvero quella zona che vive più fortemente le trasformazioni urbane e quindi anche sociali.
Da bambino abitavo a Loreto, dove ho vissuto l'ultima fase del passaggio dalla periferia rurale alla periferia urbana. Ho visto sparire le ultime fattorie e strade sterrate dove giocavo in bicicletta per vederle chiudere in cancellate per ville signorili. Ho visto i bambini padroni della piazza, cortili e marciapiedi compresi, venire pian piano arretrati dalla diffusione delle auto: prima il traffico che ci impediva di giocare a palla per la strada, poi l'arredo urbano che trasformava la piazza in un giardinetto togliendoci le piante che facevano da pali per le porte. Infine, rifugiati in cortile abbiamo dovuto abdicare quando l'amministratore ha concesso posti auto nel cortile. Per fortuna a quel punto ero adolescente e ho iniziato a vivere a Longuelo dove da poco mi ero trasferito.

Longuelo di fatto era la nuova vera periferia della città. Li ho visto costruire gli ultimi palazzi che hanno soppiantato i residui della civiltà agricola che contraddistingueva solo poche decine di anni prima il quartiere. Il campo dove si installava il circo si è fatto piazza, la collinetta dove si andava a fare cross con bici e moto è diventata un polo scolastico, lo stagno sotto casa mia una villetta a schiera. E li il senso di “chiusura” ha iniziato a farsi largo, una chiusura di spazi e una chiusura di sguardi.

Oggi vivo ancora più in periferia, nel primo paese fuori dalla città, in quella Curno che da ragazzo ricordavo un paesino che attraversavo gioiosamente nelle mie gite fuoriporta in bicicletta, e ormai devastato da una cementificazione disumana voluta da troppi interessi commerciali, ma che ancora non si arresta in mano ad amministratori incapaci se non consenzienti.

Tuttavia, il mio percorso sulla “chiusura” torna alle piccole cose, su un percorso a piedi di un chilometro a cominciare del campetto del Borghetto, seguendo un filo tra i campi di pallone della mia giovinezza.

Il campo del Borghetto, quando avevo vent'anni era un semplice campo di calcio, due porte senza reti, o con le reti consunte, erba raramente tagliata, ma controllata del calpestio di piedi giovani e meno giovani, che con due pedalate partendo da Longuelo o dalle più vicine villette, passavano pomeriggi a giocare a calcio.
Non che non esistessero problemi come i palloni calciati su punizione nel giardino del vicino, che a volte era gentile e ce li rendeva immediatamente, a volte no o a volte ce li rendeva bucati... Ma era uno spazio libero dove anche quando, un po' più grande, allenavo una scalcinata squadra di amici, non avendo ancora un campo nostro, iniziammo la preparazione.

L'evoluzione negli anni seguenti fu rapida, prima una recinzione con una cancellata ancora aperta, ma con un'odiosa scritta appesa all’ingresso: “L'uso del campo è riservato ai residenti di Mozzo”.
Poi il campo è stato riqualificato, porte nuove, qualche gioco per i bambini, infine una casetta per l'associazione dei residenti del Borghetto, che hanno avuto infine la dotazione delle chiavi di accesso... Cancello chiuso e campo definitivamente “privatizzato”.



I miei passi verso casa mi hanno quindi condotto lungo via Aldo Moro, dove all'incrocio con via Galilei mi aspetta una piccola novità. Il fazzoletto di prato incolto che da sempre ha caratterizzato quel passaggio, è stato recintato. Una rete leggera, con un ingresso semilibero con una catena, ma è un segno che qualcuno anche lì ha voluto dare il segno di una “privatizzazione” di quell'angolino comune.




Pochi metri e il sentimento si fa più triste. 
Per anni sono andato al Parco Ca' del Lupo, per le passeggiate veloci da casa dei miei. In piccolo angolo di quiete isolato dalla strada e dalla fabbrica limitrofa.  

Li era divertente camminare sulle ghiande quando cadevano, fare un giro o due del tracciato, contando le radici che si prendevano la rivincita sul selciato, e guardare talvolta dei bambini giocare a portine nel prato. Prato che per un certo periodo era diventato anche un campo di pallavolo, così raro nelle nostre zone. 

Purtroppo, oggi il passaggio al prato del parco è sbarrato da un portoncino. 
L'area è divenuta area di addestramento cani per la protezione civile. 
Sarà anche una scelta utile e importante, m intanto io mi privo, come altri cittadini, di un pezzo piacevole della mia passeggiata e i bambini di un secondo campo di calcio libero.

Qualche centinaio di metri più avanti lasciamo Mozzo ed entriamo a Curno imboccando via Trieste e davanti al campetto di via Trieste.
Qui la mia storia è più profonda. Al “Campèt” o Campetto come lo chiamavamo noi senza grandi pretese leghiste, ci ho passato tantissimi momenti della mia giovinezza.
Intorno ai vent'anni era praticamente la mia seconda casa passandoci talvolta da mattina a sera, rientrando a casa solo per mangiare e dormire.


Il campetto era il rifugio per il nostro piccolo ma variabile gruppo di amici, adolescenti e complicati. Era il teatro di interminabili sfide a calcetto, o partite a pallavolo con le ragazze usando le piccole porte come rete.  Consumavamo il perimetro asfaltato male, passeggiando mezzore in tondo raccontandoci le nostre vicende amorose. A maggio le ragazze coglievano e poi condividevano le ciliege di un albero lasciato crescere ai margini del muro, a San Lorenzo contavamo le stelle cadenti, e durante le notti estive ci sdraiavamo sulla tre panchine a parlare tra noi e all'infinito. Era un punto di ritrovo, i pochi parcheggi della via ospitavano la mia macchina pronta a condurci alle prime feste dell'Unità in provincia per poi ritornavi a condividere con gli altri amici le nostre avventure. Il calcio ovviamente però era il centro delle nostre attività, giocavamo sotto il sole cocente impanandoci con la polvere, rinfrescandoci con la fontanella, come pure sotto pioggia e neve. Non mancavamo all'appuntamento con il pallone e gli amici nemmeno il primo dell'anno, appena finito di mangiare via a giocare sul campo ghiacciato.
Il campetto era indubitabilmente la nostra casa comune: riempivamo di scritte le nostre panchine, ma ci arrabbiavamo quando qualcuno provava a rovinarle, tenevamo pulito laddove possibile, addirittura tagliammo la cima di una pianta perché faceva ombra a un faretto, e riverniciammo le porte, e infine guardavamo male gli “invasori di campo” tenendo lontane le cattive compagnie, avevamo anche il nostro bagno pubblico tra gli alberelli posti all'angolo buio in cui ragazzi e ragazze andavamo indistintamente sempre con il massimo rispetto.
Talvolta facevamo cagnara e una volta ci toccò litigare con una signora anziana. Dopo un po' di inevitabili tensioni si giunse ad un accordo, quando abbassava la tapparella era il segnale che noi dovevamo abbassare a nostra volta i toni. Lei decise di non chiamare i vigli, ci conosceva si sentiva più sicura se sapeva che eravamo noi a presidiare il parco.



Oggi il campetto è stato “sistemato”: Porte nuove, panchine nuove, selciato nuovo, che ha portato via il ciliegio e le piante del nostro gabinetto. La sistemazione ha anche sradicato la fontanella, e alla chiusura automatica del campetto. Non so se i ragazzi del quartiere ci vanno ancora, ovviamente ci passo quando loro sono a scuola o a pranzo, ma mi sembra più ordinato e meno vissuto. Certo non avrà più i sognatori sino alle due di notte.





Rientrando verso casa, sulle vecchie tracce, trovi infine il più triste dei cancelli. Tra via Trieste e il parcheggio di casa mia in via Perosi, da sempre c'era un passaggio “clandestino”. 

Tra il punto in cui s'interrompe la strada e il parcheggio, c'è mezzo metro di dislivello marcato da rete di delimitazione, che in breve tempo a furia di essere scavalcata si era sfondata e poi divelta, consentendo a tutti di passare. 

Eravamo certo noi ragazzi della via a usarla come scorciatoia per il campetto, ma era anche il passaggio per i ragazzi che da via Trieste andavano alle vicine scuole a Longuelo evitando di allungarla o di dover passare per la trafficata via Longuelo.




Per anni si è parlato di mettere in sicurezza il passaggio con qualche svicolo o scaletta,  ma da qualche settimana anziché sistemarlo qualcuno è intervenuto mondando una cancellata metallica che di fatto ha chiuso questo passaggio tanto piccolo quanto prezioso nella sua clandestina intimità, che da sempre mi ha dato il senso di voler cercare e creare il passaggio per comunicare anche nelle maniere meno formali, su strade non tracciate, ed oltre i recinti in cui volenti o nolenti ci stanno e ci stiamo chiudendo attorno.

Campi chiusi, parchi privatizzati, passaggi sbarrati, recinzioni ovunque . Una difesa del privato e della sicurezza, che rende meno semplice e piacevole, chiudendo gli orizzonti,  senza cancellare le paure. 

sabato 19 gennaio 2019

Quattro passi per Curno. Sguardi distratti di un quasi-neoresidente.

Memore delle mie passeggiate giornalistiche dei tempi d'oro, alcune vie di Curno, paese in cui abito da otto anni, soffermandomi su alcuni aspetti che trovo curiosi o ironici, non senza un velo di critica.


La passeggiata fotografica parte da Largo Vittoria dove sul palazzo spiccano cartelli per il contrasto canino.

Occorre premettere che a Curno, come in genere in molti paesi e città delle nostre parti, i padroni di cani non brillano per civiltà e nella mia passeggiata ho trovato, senza fotografare per decenza, innumerevoli reperti fecali canini.







Vietare il passaggio in un giardino completamente spoglio, o sotto un porticato che tra l'altro consente l'accesso ad attività commerciali, è alquanto bizzarro.











La passeggiata procede con simpatiche e folkloristiche lenzuola colorate appese ai balconi, da tradizione mediterranea, da paese quantomeno,  seguite da un timido reperto natalizio.

Il mio cammino mi porta alle spalle del campo sportivo e qui la mia curiosità si sposta al vizio di dover creare barriere e ostacoli visivi ai campi, per salvaguardare il biglietto per qualche società sportiva, solitamente dilettantistica. Non fa eccezione il campo di Curno, che alterna siepe a una bruttissima rete da giardino.


Lo stesso passaggio pedonale vede nel frattempo simpatici cestini smontati e dog-toilet senza sacchettini... (elegante dettaglio il mio riflesso nella foto...).


Incrociando via Lega Lombarda, il panorama si fa desolante, la foto richiama quel triste confine, che come un invisibile muro di Belino, divide senza pietà la ridente e umana località residenziale dall'inumano deserto industriale e commerciale.



Proseguendo verso via Curnasco, ecco un ulteriore segno del confine tra paese e terra desolata con il bel percorso pedonale che si disgrega scomparendo nell'irrisolto nulla costruttivo e progettuale entrando in contatto con l'ultima area realmente rurale della zona che è il vivaio regionale la fattoria in miniatura che vi sta di fronte.


Di questa ho osservato divertito come lungo il passaggio pedonale esista un piccolo recinto esterno sempre evidenziato da carte e plastiche sgargianti.





Nondimeno la zona è ricca di dettagli curiosi dal panettone stradale posto a fianco di un sentiero che taglia una siepe (tra l'altro collocata in maniera assolutamente estemporanea da chissà chi) , al nuovo filo di siepi messi a recintare l'area a prato del vivaio regionale, quasi a promettere che anche quell'unica zona verde debba essere preclusa agli occhi dei residenti.




Proseguendo torniamo a Curno nuovamente paese, con altri panni stesi, tanto più discreti quanto più estesi, ma anche un curioso appezzamento verde abbandonato, lungo via Pertini, una piccola terra di nessuno su una via vitale dove ogni altro metro di strada è occupato.






Molto divertente è anche constatare come dall'altro lato della strada il parcheggio presenti una pensilina del pullman, che da recente residente non ho mai visto utilizzata, ma che è protetta da una colorata transennina, peraltro significativamente piegata.






Concludo la mia passeggiata lungo via Pertini, con la creatività dei tecnici che consente di installare pali dei lampioni sagomando bordo del marciapiede piuttosto che piantarli 10 centimetri più all'interno dell'aiuola.



Alle prossime puntate (forse)